Le interfacce basate sulla conversazione (interfacce vocali, assistenti personali, chatbot) si stanno sempre più diffondendo, poiché basate su una forma di comunicazione conosciuta e praticata da tutti: il linguaggio.
Fin da piccoli impariamo a parlare tramite il dialogo con i genitori e, da quel momento, non smettiamo più di utilizzare la conversazione (orale e poi scritta). Le interfacce vocali sono anche più immediate e veloci dello scambio linguistico tra persone: parliamo molto più velocemente di quanto scriviamo e, se ci serve una specifica informazione, è più facile domandare e attendere la risposta, piuttosto che cercarla da soli. Per quanto questa tecnologia sia notevolmente migliorata ci sono ancora molte limitazioni. Succede quindi che, se non viene progettata bene, la conversazione con una macchina possa risultare forzata e macchinosa. Questo rischia di deludere le alte aspettative degli utenti, che a una domanda posta in maniera naturale si aspettano una risposta altrettanto naturale e coerente con il contesto.
Come possiamo dunque progettare una buona conversazione?
Prima di tutto ricordiamoci i principi base della conversazione: quando parliamo con qualcuno (anche con una macchina) ci aspettiamo che egli sia collaborativo. Questo vuol dire che il nostro interlocutore deve essere in grado di aiutarci a sostenere la conversazione, fornendo spunti e alternative per andare avanti. Se egli non ha una risposta precisa e diretta al quesito posto, può ad esempio trarre indizi dal contesto per fornire informazioni aggiuntive, anche se non esplicitamente richieste.
Anche il tono, lo stile e il tipo di linguaggio utilizzato rendono la conversazione più o meno naturale. Escludendo contesti di conversazione molto formali, solitamente facciamo riferimento alle modalità tipiche della lingua parlata, e non di quella scritta. Sia che si tratti di una conversazione con un assistente vocale che di una chat con un bot, infatti, noi percepiamo il dialogo come un’interazione orale: veloce, diretta e immediatamente comprensibile.
Per quanto possibile ci aspettiamo anche che il nostro interlocutore abbia memoria di quanto detto precedentemente, in modo da non costringerci a ripetere dati e argomenti ogni volta che vogliamo modificarli o integrarli.
Fondamentale è anche guidare l’utente nell’interazione con il bot, dando alcuni suggerimenti, a livello grafico, su ciò che l’interfaccia può e non può fare. Se non si fornisce nessuna guida a livello visivo, l’utente sarà spaesato, non avendo istruzioni a cui fare riferimento per proseguire. Se gli input accettati e compresi dall’interfaccia sono troppo pochi, l’utente si sentirà limitato e l’interfaccia assomiglierà più a un sistema di risposta automatica che a una conversazione.
Inoltre occorre essere flessibili e adattarsi allo stile comunicativo dell’utente. Ad esempio, di fronte alla richiesta di dati del bot, alcuni utenti procederanno elencando tutti i dati necessari in una sola volta, mentre altri aspetteranno che essi vengano domandati singolarmente. La conversazione deve supportare entrambe le modalità: nel primo caso il bot non dovrà chiedere due volte la stessa cosa, e, nel secondo, dovrà guidare l’interlocutore chiedendo i dati mancanti.
Per dare un tocco in più alla qualità della conversazione si può progettare il bot per riconoscere le diverse modalità con cui la persona dà comandi o chiede informazioni, e per comprendere quando l’utente sta dando un feedback sull’andamento della conversazione. Infatti uno dei momenti in cui traspare di più la rigidità della macchina è quando essa fornisce contenuti non idonei alla richiesta inviata. Il bot viene avvisato dall’utente con frasi come: “Non hai capito”, “Non è quello che volevo” oppure “No, ho chiesto …”, ed esso, spesso, risponde come a un nuovo comando, che peraltro non rientra nelle sue possibilità (“Mi dispiace, non ho capito bene. Chiedimi qualcosa per iniziare”).
Altra criticità da risolvere per migliorare ulteriormente l’interazione verbale è evitare che il bot attribuisca un significato sbagliato al silenzio dell’utente. Il silenzio non vuol dire né “sì” né “no”, né “non ho capito”. Proprio come in una vera conversazione è possibile che l’utente voglia dire una di queste cose, ma anche che sia stato interrotto da qualcos’altro e per questo non abbia potuto rispondere per tempo. In questi casi, per riprendere la conversazione, il bot può provare a fornire alcuni suggerimenti, ma mai in modo pedante.
In sintesi, per ottenere una buona interfaccia, è necessario saper ascoltare e comprendere l’utente, calibrando la quantità di informazioni in modo che siano sufficienti, ma non sovrabbondanti. Ricordiamoci che non esiste il fast forward nelle interfacce vocali e che l’utente potrebbe annoiarsi o pensare di perdere tempo se costretto ad ascoltare elenchi troppo lunghi.
Come ultimo suggerimento, attenti alla personalità. Dal tono comunicativo, dalle parole utilizzate e, se presente, dal timbro vocale, l’utente assocerà una personalità al proprio interlocutore virtuale. Dunque occorre scegliere queste caratteristiche con attenzione, in modo che risultino il più possibile in linea con il brand e con il messaggio che si vuole comunicare.